Una Storia Che Non Possiamo Raccontare

COP_Grosz_cartonato_140x215«Questo libro parla del nostro desiderio di comunicare, di comprendere e di essere compresi. Parla anche di ascolto, non solo delle parole ma anche dei silenzi tra una parola e l’altra. Ciò che descrivo qui non è un processo magico. E qualcosa che fa parte della nostra vita.»

Tutti abbiamo storie da raccontare, storie con cui spiegare e dare un senso alla nostra vita. Ma perché questo succeda raccontar­le non basta. Ci vuole qualcuno che le ascol­ti, le comprenda… e ce le restituisca. Qualcu­no che, se ci siamo persi, ci aiuti a ritrovarci. In venticinque anni come psicoanalista, Ste­phen Grosz ha ascoltato migliaia di storie, e da tutte ha imparato qualcosa sugli esseri umani, e su stesso. Con ognuno dei suoi pa­zienti ha trovato un lessico speciale, da cui poter trarre “lezioni” universali. In queste pagine ce le racconta, e lo fa con at­tenzione alla potenza delle parole semplici, lontano da ogni gergo specialistico.

Nei bre­vi, intensi resoconti dei percorsi terapeuti­ci, oltre a delineare un sottile autoritratto dell’analista, il cui «compito è quello di ac­compagnare sulle scena» che è fonte del­la sofferenza e «lasciare che quella faccia il suo lavoro», ci presenta un’umanità che si confronta con tutto ciò la fa sentire viva… e fragile: l’amicizia, l’amore, la genitorialità, il senso di colpa, la paura della morte. Seguendo il percorso dei suoi pazienti sco­priamo che c’è un po’ di noi in ognuno di loro. In Peter che mente per nascondere un’infanzia dimenticata e violenta. In Lily, che ironizza su ciò che la fa soffrire e si sen­te assolta dalla risata del terapeuta. Nel pro­fessor R., che a 71 anni «tira fuori dalla scato­la la sua omosessualità» e finalmente si sente «a casa». In Rebecca, che desidera l’impossi­bile: che il figlio ormai adulto la ami, la de­sideri e abbia bisogno di lei come quando aveva tre anni. In Daniel, che perde il por­tafoglio per non perdere se stesso. In Lucy, anoressica, che si prende cura del padre come se fosse il bambino che si crede inca­pace di avere. In Anthony, che sopporta più facilmente l’idea della propria morte stando in silenzio, per «sentirsi vivo nella mente di qualcun altro».

Sono storie che raccontano la più grande e difficile avventura, quella della vita quoti­diana, e di come anche grazie a un rapporto di profonda fiducia possiamo trovare la capacita di accettare un passato doloroso, su­perare un abbandono, trasformare una delu­sione in un’opportunità, cambiare lo sguardo sul mondo. Di come, se ci si perde, sia possi­bile ritrovarsi.

 

Recensioni

appassionante.  Nelle sedute di queste persone così ordinarie, nel senso positivo del termine, riconosciamo esperienze  e comportamenti che ci appartengono. Troviamo risposte impreviste a domande che, magari, non ci eravamo ancora posti ma erano lì, appena sotto la superficie, pronte a emergere. […]

Casi clinici che, uno dopo l’altro, compongono un cerchio sempre più largo, come le onde di un lago in cui qualcuno ha gettato un sasso: l’analisi arriva al centro del problema e allarga le interpretazioni, scopriamo che la vita (e nessuno si senta escluso) procede per malintesi, autoinganni, illusioni. Niente di grave, il più delle volte. Nulla che metta a repentaglio il nostro equilibrio, come succede invece ai pazienti di Grosz. Ma è importante saperlo. Di più: saperlo è obbligatorio.”
Daniela Mattalia, Panorama